LA GRANDE GUERRA SUL FRONTE ISONTINO

Monumento ai caduti a Celle Lager

Dopo un anno di neutralità, il 24 maggio 1915 l’Italia dichiarava guerra all’impero Austro-Ungarico, schierandosi con Francia, Inghilterra e Russia contro gli imperi centrali. II conflitto, che nei piani del capo di stato maggiore gen. Cadorna, succeduto ad Alberto Pollio scomparso improvvisamente nel luglio 1914 doveva concludersi in breve tempo. In realtà durò 41 lunghissimi mesi, durante i quali furono mobilitate ben 27 classi, dalle generazioni piú mature fino ai giovanissimi del 1899, inviati al fronte a soli 18 anni d’età. (la classe del 1900 seppur mobilitata non venne tuttavia impiegata). Fu schierato in campo un esercito di 5 milioni e mezzo di combattentI ed alla fine si contarono 689.000 caduti ed oltre un milione e mezzo di feriti o mutilati. All’inizio della guerra, su un confine di circa 600 Km il generalissimo disponeva ben 4 armate:

  • La 1° armata con comando sistemato a Verona agli ordini del gen. Roberto Brusati si schierava dal Passo dello Stelvio al Passo Cereda su un arco valutabile in linea d’aria attorno ai 200 Km. Al Brusati subentró nella primavera del 1916 il gen. Guglielmo Pecori Giraldi che tenne il comando sino al termine del conflitto.

  • La 4° armata con comando situato a Vittorio Veneto agli ordini del gen. Luigi Nava (assunse poi il comando il gen. Mario Nicolis di Robilant che restó in carica fino all’indomani di Caporetto, quando lasció l’incarico al gen. Paolo Morrone giá ministro della guerra a sua volta avvicendato dal gen. Gaetano Giardino fino al termine delle ostilitá dislocava le proprie forze dal Passo Cereda al monte Peralba (sorgenti del Piave) per uno sviluppo di circa 75 Km.

  • La 2° armata agli ordini del gen. Pietro Frugoni (poi del gen. Luigi Capello fino alla battaglia di Caporetto e del gen. Luca Montuori nei pochi giorni della ritirata al Piave) con sede in Udine, si stendeva dalla P. di Montemaggiore fino all’abitato di Manzano su uno sviluppo di circa 35 Km in un territorio particolarmente impervio.
  • La 3° armata con sede a Portogruaro copriva il restante confine, da Manzano al mare. Era all’inizio agli ordini del gen. Vincenzo Garioni, poi avvicendato al comando dal Duca d’Aosta, cugino del Re. Restavano inoltre dislocati come riserve 4 corpi d’armata (XIII, VIII, XIV, X). Un esercito di quasi 500.000 uomini cui l’impero asburgico inizialmente oppose 80.000soldati poco esperti e male armati. II piano operativo ideato da Cadorna prevedeva un’azione principale sul fronte giulio per superare la linea dell’Isonzo e attestarsi sulla linea della Sava tra Kranj e Lubiana; un’azione difensiva strategica sul fronte tridentino (il pericoloso saliente che si incuneava minaccioso lungo la parte piú delicata del settore alpino del fronte), sostenuta da azioni tattiche intese a migliorare la situazione dell’andamento della linea di confine, e offensive parziali in Cadore e in Carnia con obiettivi il nodo di Dobbiaco e lo sbocco in Carinzia. Gli italiani però non seppero sfruttare il vantaggio numerico: disorganizzazione, difficoltà di trasporti, scarsità di mezzi impedirono che l’iniziale affondo verso Lubiana e Trieste, fermamente voluto da Cadorna avvenisse colla dovuta efficacia e rapidità. L’eccessiva prudenza iniziale consenti alle truppe asburgiche di arrivare in forze dal fronte orientale in modo da poter opporre ai primi attacchi italiani un numero sufficiente di soldati esperti, giá provati m battaglia e pronti a sfruttare il significativo vantaggio di combattere in difesa. Gli Italiani dunque ignoravano l’enorme vantaggio con cui avevano iniziato la guerra e il tempo perso offri agli austriaci la possibilità di costruire ripari in postazioni dominanti, trincee protette da diversi ordini di reticolati e dotati di mitragliatrici e calibri campali pronti a far fuoco sui reparti lanciati in attacchi improvvisati, spesso condotti all’insegna del pressappochismo. La guerra di movimento che avrebbe permesso se non altro una più rapida penetrazione nel cuore dell’impero, lasciava ormai il posto alla logorante guerra di posizione, così com’era successo ai tedeschi sul fronte occidentale. Era la trincea ormai la grande protagonista del conflitto, anche sul fronte italiano. Iniziava la serie dei duri e sanguinosi attacchi contro le posizioni austriache sul Carso: le battaglie dell’Isonzo. Bisognava superare i reticolati e così, anche in pieno giorno, squadre di volontari, le cosiddette “squadre della morte”, venivano mandate ad aprire i varchi nel filo spinato con mezzi rudimentali come le pinze taglia fili o i tubi di gelatina. Mitragliatrici e bombarde austriache facevano il resto, specie queste ultime, armi moderne inventate per le esigenze della guerra statica col loro tiro corto e ad alta traiettoria, ideale per spazzare dal campo linee di difesa distese di reticolati e corpi umani. II soldato dunque combatteva in condizioni proibitive.

IL PRIMO BALZO OFFENSIVO

All’inizio dell’ostilità le nostre truppe irruppero quasi ovunque oltre il confine per assicurarsi buone basi di partenza per le operazioni successive. Sul fronte Giulio conquistarono la conca di Caporetto, la dorsale tra Isonzo e Judrio, e dilagarono nella pianura friulana occupando Cormons, Cervignano e Grado. Ma il progredire divenne sempre più arduo e sanguinoso perché il nemico, oltre ad una più lunga esperienza di guerra di trincea godeva anche del vantaggio delle posizioni: tutte dominanti. Ai primi di giugno, venne occupata Gradisca e, forzato l’Isonzo a Plava, creata una testa di ponte che impediva al nemico le comunicazioni per il fondo valle. Venne poi occupata Monfalcone ed il 16 conquistato il M. Nero.

LE PRIME QUATTRO BATTAGLIE

Conclusosi il primo balzo offensivo, il nemico venne poi impegnato lungo il fronte isontino in undici battaglie offensive, in cui le nostre truppe profusero largamente valore e sangue. Si ebbero cosi sull’Isonzo 29 mesi di aspra guerra di posizione. A ondate successive la generosa gioventú italiana affrontó il fuoco delle mitragliatrici e dei cannoni nemici, si lanció contro il “tremendo” reticolato nel quale gruppi di uomini votati al sacrificio aprivano dei varchi con mezzi ancora rudimentali ed estremamente pericolosi. Obiettivi delle prime quattro battaglie, combattute nel 1915, furono le due teste di ponte di Tolmino e di Gorizia a destra dell’Isonzo e il bastione del Carso. Nonostante lo slancio con cui le nostre truppe si gettarono contro le bene organizzate difese nemiche perdendo il fiore dei nostri combattenti, i risultati furono scarsi.

LA QUINTA BATTAGLIA (marzo 1916)

ebbe scopo di favorire l’alleato francese, impedendo al nemico di trasferire truppe sul fronte di Verdun dove i tedeschi avevano lanciato un grande attacco. La lotta fu particolarmente aspra tra il S. Michele e S. Martino, ma con i risultati assai modesti.

A rompere il ritmo delle offensive italiane sul Carso, il 24 maggio 1916 l’Austria sferrava la Strafexpedition: obiettivo la pianura veneta per prendere alle spalle il grosso dell’esercito italiano schierato sul fronte orientale. La puntata offensiva diretta dal gen. Conrad travolse le prime linee italiane sull’Altopiano di Folgaria, sul Col Santo e sull’Altopiano di Asiago, ma la pronta reazione della 1° Armata, subito soccorsa da truppe dirottate sulle prealpi vicentine dal Carso arginó la spinta nemica che al passo Buole, sul Monte Pasubio, sul Novegno, sul Monte Cengio e sullo Zovetto venne inesorabilmente arrestata. Ristabilita la situazione, Cadorna riprendeva il disegno strategico iniziale. All’alba del 29 giugno 1916, nella zona del S. Michele, fece la sua tragica apparizione un nuovo crudele mezzo di lotta: il gas asfissiante. Sorpresi nel sonno, in pochi minuti persero la vita 2.700 uomini dell’XI Corpo d’Armata, mentre altri 4.000 rimasero gravemente intossicati. Ma, con un mirabile sforzo di volontá dei superstiti la situazione, inizialmente compromessa, veniva prontamente ristabilita.

LA SESTA BATTAGLIA DELL’ISONZO (4 – 17 agosto 1916)

II nostro piano prevedeva due attacchi principali ai lati del campo trincerato di Gorizia dalle alture del Sabotino al Podgora e dal S. Michele a Doberdó; altra azione diversiva doveva essere sferrata con adeguato anticipo sul settore di Monfalcone. L’operazione, che venne affidata alla 3° Armata era stata preparata accuratamente; per la prima volta sulla nostra fronte si affiancava al cannone la bombarda, nata per infrangere la barriera dei reticolati. Dopo un poderoso tiro di preparazione furono conquistate di slancio le importanti posizioni del Sabotino e le tanto contrastate cime del S. Michele. II 9 agosto le nostre avanguardie entravano in Gorizia e quindi si attestavano oltre il Vallone. La 6° battaglia dell’Isonzo costituí un grande successo per le nostre armi che inflissero agli A.U. la perdita di 41.835 uomini e di ingente materiale bellico. Nel 1916 si ebbero ancora tre battaglie: la SETTIMA, l’OTTAVA e la NONA, con le quali,nonostante l’immutato slancio e l’indomita tenacia, vennero raggiunti risultati modesti. La primavera del 1917 fu contrassegnata dalla DECIMA BATTAGLIA (12 maggio – 8 giugno 1917) che aveva per obiettivi la conquista del bastione montuoso strapiombante sull’Isonzo tra Plava e Gorizia e dell’importante massiccio dell’Hermada. Violentissimi combattimenti si ebbero specialmente sul Vodice e sul Monte Santo il quale venne occupato e perduto piú volte. Furono comunque occupati il M. Kuk Jamiano e q. 21 di Monfalcone.

L’UNDICESIMA BATTAGLIA (18 agosto -12 settembre 1917)

Ebbe per obiettivo l’altipiano della Bainsizza che costituiva per il nemico una buona base di partenza per le proprie offensive e rappresentava altresi la naturale copertura del Vallone di Chiapovano, utilizzato dagli austriaci per il sicuro spostamento di uomini e di mezzi tra il Carso e la Conca di Tolmino. L’offensiva si sviluppó anche sul Carso, ed a questa concorsero validamente dal mare anche batterie della marina su pontoni. A prezzo di gravi sacrifici, le nostre truppe forzarono l’Isonzo in piú punti e progredirono cosí rapidamente sul margine occidentale dell’altipiano della Bainsizza da costringere il nemico a ripiegare su una linea piú arretrata, lasciando nelle nostre mani lo Jenelik. il Kobilek, il Monte Santo, 20.000 prigionieri, nonché ingenti quantitá di armi. Le perdite complessive in questa grande battaglia ammontarono a 143.000 italiani e 110.000 austriaci tra morti, feriti e dispersi.

Per cercare di risollevarne le sorti, gli Stati Maggiori germanico e austro-ungarico concertarono di sferrare, prima dei mesi invernali, una grande offensiva contro l’ala nord della nostra 2° Armata nel tratto di fronte tenuto dal IV Corpo d’Armata del gen. Alberto Cavaciocchi e del XXVII Corpo d’Armata del gen. Pietro Badoglio.

DODICESIMA BATTAGLIA DELL’ISONZO

La “tragedia Caporetto” ha inizio il 24 ottobre con lo sfondamento del fronte con il fuoco di 2200 cannoni e l’azione dei gas asfissianti abbondantemente adoperati. Nello stesso giorno Caporetto viene occupata, due divisioni italiane completamente annientate, altre tre circondate, mentre migliaia di nostri soldati depongono le armi sbandandosi. Cinque giorni dopo gli austriaci passano anche il Tagliamento e le forze italiane ripiegano verso il Piave. II 9 novembre gli austriaci raggiungono il Piave dove l’esercito italiano anche se ha perso piú di un terzo dei soldati e piú della metá del materiale bellico riesce a fermare il nemico, che per altri dieci giorni tenta senza successo di passare. Le cause di questa gravissima disfatta debbono essere ricercate soprattutto nella sorpresa dell’attacco, indubbiamente non prevista dal Comando militare. Ma non va sottovalutata la grave crisi morale dell’esercito italiano. Le battaglie dell’Isonzo e dell’Ortigara erano costate 110.000 morti, 280.000 feriti e ben 50.000 “dispersi” e quasi 200.000 soldati che si erano “improvvisamente” ammalati. Una perdita secca di 600.000 unitá impiegate in azioni e in battaglie che avevano piú motivo di prestigio che un senso logico. E sul fronte fra i soldati quando si parlava dei comandanti era normale adoperare la parola “macellai”. La battaglia di Caporetto costó altri 700.000 uomini (70.000 fra morti e feriti, 300.000 prigionieri, 300.000 sbandati e ben 50.000 disertori). Investita dall’offensiva nemica la 2° Armata fu quasi completamente persa. L’Armata fu quindi sciolta e i resti dei suoi organici avviati nelle retrovie per essere riorganizzati. La 3° Armata guidata dal duca d’Aosta riuscí a salvarsi pressoché intatta sulla linea destra del Piave. Anche il gen. di Robilant pur con qualche notevole difficoltá, riusci a portare la 4a Armata ancora in buona efficienza sul massiccio del Grappa. Venne poi sostituito dal gen. Paolo Morrone a sua volta avvicendato dal gen. Gaetano Giardino. II 9 novembre al termine della ritirata, con l’esercito ormai al sicuro sulla nuova linea, il gen. Cadorna veniva sostituito al comando supremo dal gen. Armando Diaz, sino ad allora comandante del x Corpo della 3° Armata, affiancato da due sottocapi: l’ex ministro della Guerra gen. Gaetano Giardino (che nel febbraio 1918 passerá al comando della 4° Armata del Grappa) e il gen. Pietro Badoglio (che, nonostante le responsabilitá nella battaglia di Caporetto,viene così promosso ai massimi incarichi nell’esercito diventando un protagonista della vicende politico militari italiana fino alla fine del secondo conflitto mondiale). Su questa nuova linea s’infransero tutti i disperati attacchi nemici e in particolare quelli del giugno 1918 (battaglia del Solstizio). Da quelle posizioni, il 24 ottobre 1918, balzarono i nostri fanti per travolgere il nemico finalmente battuto. La battaglia finale con le truppe dell’VIII Corpo d’Armata che, al comando del gen. Enrico Caviglia e con il concorso di truppe inglesi, passarono il Piave convergendo su Vittorio Veneto. II 4 novembre 1918 a villa Giusti ad Abano Terme i rappresentanti austroungarici firmarono la capitolazione.

Comando Supremo, 4 Novembre 1918, ore 12

La guerra contro l’Austria-Ungheria condotta ininterrotta ed asprissima per 41 mesi é vinta.