PRESENTAZIONE

Difendere le radici della propria cultura sembra essere l’ assunto, per molti versi coraggioso e singolare, che da alcuni anni l’Associazione Laboratorio Brendola va svolgendo con encomiabile impegno.

Difendere da che cosa?

L’urgere di modelli culturali nuovi e diversi, mediati da persuasori più o meno occulti, costantemente pervasivi, che tendono ad omologare comportamenti, abitudini, modi di pensare dell’intero villaggio globale, ha rimosso con inaspettata quasi brutale rapidità moltissimi aspetti del passato, anche recente, appartenente alle cosiddette “culture minori”, specie quella contadina, da cui la gran parte di noi trae origine. Troppo in fretta questo passato è stato abbandonato al silenzio della storia e alla sua perdizione.

Ma ecco che, una dopo l’altra, con cadenza quasi regolare, grazie al Laboratorio Brendola, vengono alla luce indagini preziose che riconducono alla memoria aspetti di un passato ormai dimentico, perpetuandone la conoscenza nelle forme proprie del pensiero: la riflessione e la scrittura.

Un procedere che richiama quello dell’archeologo che apre squarci improvvisi nei bui sedimenti della storia, evocandoli ad una nuova e più duratura esistenza.

Il termine metaforico radici rende l’idea di una parte nascosta, non evidente, come lo sono il tronco e le fronde, ma non meno vitale e che opera per alimentare di continuo l’intera pianta.

Così è del nostro passato: queste radici sono dentro di noi, più ne siamo consapevoli e più sapremo dare contributi originali alla cultura del nostro presente; più li conosciamo, meno ci sentiamo sopraffatti dallo smarrimento e dalla solitudine dell’esistere.

Questa ultima indagine – ultima in ordine di tempo- che ci propone il Laboratorio Brendola muove dalla consapevolezza di rivolgere il proprio scandaglio ad un patrimonio in estinzione costituito da mestieri e consuetudini propri dell’homo faber, mai subalterno a quello sapiens, che coniugando intelligenza, manualità ed esperienza, ha saputo dominare la natura, modellare il paesaggio, trasformare le cose in prodotti utili e indispensabili al vivere.

Sono flashes che colgono una realtà non più attuale, dietro cui si intravede tutta una trama di fatiche, di sudori e di calli, ma anche di espansioni gioiose e di speranza. È l’alfabeto di una cultura contadina che ancora prima della parola ha tramandato l’arnese, i gesti del lavorare, le cadenze della fatica operosa, il mangiare, il vestire, i riti e le feste: un codice arcaico, sopravvissuto pressoché identico per lunghissimo tempo, le cui cifre segrete corrispondono ai modi della vita comunitaria sostanziata di compartecipazione e di condivisione.

In questo scandagliare emerge qualche figura singolare dal recente passato, come Agostino Zadra, che nel nostro contesto, per certi versi, impersonò il mito dell’artigiano aperto al nuovo.

Per non lasciare perdere, potremmo ridefinire tutto questo impegno, per impedire che l’incauto e sacrilego procedere di una ruspa, non del tutto metaforica, travolga tutto e tutti.

DAL MONTE DR. DANILO