Via Piave “1”

Torniamo a San Valentino, dove hanno origine le cinque strade. La prima a sinistra è Via Piave, già Via Costa. All’inizio della via, ecco l’abitazione di due famiglie Panozzo: Panozzo Vincenzo e Panozzo Ermenegildo, chiamati Oselon.
“Storia di famiglia” Panozzo Giuseppe (Lorenzella)
Ermenegildo era conosciuto in tutta Brendola perché nella sua stalla teneva un toro da riproduzione (monta taurina). I contadini di Brendola vi conducevano le mucche nel periodo fecondo, per farle figliare. Non era insolito poter osservare due o tre contadini in attesa della prestazione e un allegro “ingrumarsi” di ragazzini in ascolto di notizie e pettegolezzi. I Panozzo erano arrivati a Brendola verso il 1922, da Tresché Conca. Come tante famiglie scese dall’Altipiano, venivano in cerca di terra e di lavoro. Ermenegildo acquistava quindi casa al Capitello, dove c’era l’osteria. La casa al n.1 di Via Costa cambia occupanti.
Poco lontano dalla casa dei Panozzo, sempre sulla destra, sorgeva l’abitazione di Bisognin Valentino, con la moglie Frealdo Esterina, detta Coche.
Valentino ha avuto figli: Pierina, Milena, Isella, Biancarosa, Pietro e Annalisa e un figlio. Bisognin Isella sposò un Lovato e la casa restò a lei.
“Storia di famiglia” Bisognin della Costa
La strada, tutta in salita, si inerpica fino a raggiungere dopo un centinaio di metri, sulla destra, l’antica villa dei Cavalcabò, proprietà di Zaccaria Ausonio e delle sorelle Armida e Bruna.
I Zaccaria erano grossi possidenti con molti campi al Palù, stalle e due famiglie di fattori in servizio permanente: la prima era quella dei Cazzanello (già vista); e l’altra era quella di Rigolon Giuseppe detto Bepi Menoti che abitava trenta metri più su sulla sinistra ed era sposato con una Calori.
“Storia di famiglia” Rigolon
Da Casa Zaccaria iniziava Contrà Costa. Dopo un centinaio di metri dall’imponente edificio, sulla destra, sorge una teoria di case: alcune singole, altre a schiera, con la facciata interna delle corti e il retro a Nord, sulla strada.
Sono edifici secolari, dove l’edilizia contadina ha individuato caratteristiche funzionali e rispondenti alle esigenze dei proprietari.
La prima era quella di Gino Fuin, Gino Squaquara, sposato a Maria Caneva.
“Storia di famiglia” Squaquara Girolamo
L’edificio massiccio e importante conserva un aspetto severo, in contrasto con il restauro e la tinteggiatura delle pareti. Le finestre mantengono la fattura di un tempo. Ma il grande magazzino, con le sue inferriate, osserva muto il traffico della strada. C’è silenzio, perché l’edificio mette soggezione. Una stradina vicinale separa casa Squaquara Gino da casa Lunardi.

Un tempo l’edificio apparteneva a Ernesto Rigolon, Ernesto Malachia.
In quelle successive vi abitavano: Lovato Girolamo e Rezzante Attilio detto Barone con la moglie Schio Attilia. I Rezzante della Costa sono legati ai Rezzante di Via Ortigara: stessi bisnonni.
“Storia di famiglia” Rezzante Natale e Silvio (Scancion)
Segue la casa di Nicolato Emilia, detta Milia Pacagnela, con la sorella Sandra. Emilia figli: Elvide, Anna, Adriano (è morto in moto).
“Storia di famiglia” Nicolato Desiderio e Girolamo
I Nicolato avevano abitato anche a casa Maran (vicino alla casa dei Medini). Poi l’edificio era stato acquistato da un signor Laverda.
Subito dopo, sulla sinistra, inizia una strada che congiunge Via Piave con Via Ortigara.
All’inizio, poco dopo la curva, ecco la casa di Frigo Giuseppe, detto Bepi Gnicole e, successiva, l’abitazione di Caldonazzo Pietro, cognato di Bepi Gnicole. (lì abitavano anche due sorelle, dette le More).
“Storia di famiglia” Frigo Antonio e Giovanni (Gnicole)

Sulla destra si apre una corte dove un tempo abitavano: Viale Giuseppe, fratello di Adele, moglie di Babolin; Muraro Luigi, detto Bijo Cuco (figlio di Frigo Rosa e Muraro Domenico e fratello della centenaria Marietta Muraro), Marchesini Luciano, Gennari Giovanni, detto Nani Gaetanelo (Sacrestano nella Chiesa di San Michele).
Giovanni Gennari era il papà di Maria, moglie di Michele Cavalcanti, zio di Concetta.
Seguiva l’abitazione di Rigolon Ernesto detto Malachia, marito di Aida Bedin, Ida Santiela; Caneva Amedeo e Tomasi. Un Tomasi sposa Vittoria Nicolato, che è sorella di Vittorio Nicolato, cieco, detto Babao.
“Storia di famiglia” Muraro Giovanni (Cuchi dei Muraroni)
“Storia di famiglia” Rigolon Ernesto (Malachia)
“Storia di famiglia” Bedin Emilio (Santiela)
Proseguendo, tenendo la destra, dopo 50 metri a manca, ecco la casa di Noro Gaetano e fratello, detti Tantéri, che lavoravano la proprietà dei Girotto, in affitto.
Oggi. Una parte della casa è abitata da una Noro: Noro Marietta, che ha sposato Gioanin Soldà, Giovanni Soldà. Il resto dell’abitazione appartiene ai Franchetti.
Compiuto il cammino a ritroso, si torna in Via Piave già Via Costa e lì, in faccia, sulla destra sorge l’abitazione di Squaquara Giuseppe, detto Bepi Fuin, sposato con Bisognin Anna.
Questi i loro figli: Antonio che sposa Valdagno Teresa; Gino che sposa Caneva Maria; Giuseppina che sposa Visonà Vittorio; Maria, suora.
Sul retro dell’abitazione, si apre una stradina che conduce alla casa di Dalle Nogare Giovanni.
Tornati alla strada principale, subito a destra si incontra la casa di Frigo Domenico, detto Menego Pagnoca, al numero 22 è l’abitazione originaria dei Pagnoca.
Questa era l’abitazione dei Frigo, i Pagnoca che emigrarono a Tripoli.
Qui visse per qualche tempo Muraro Luigi con la sua industriosa famiglia; successivamente fu la casa di Frigo Lino. Oggi vi abita Anna Noro, Anna Pagnoca, moglie di Antonio Frigo Toni Pagnoca.
Momi Lovato, detto Bocia, zio di Renzo, con la moglie e la cavalla Brin, invece, abitarono per un certo periodo dove abita oggi Maria Caneva.
Qui ha termine la contrada.
Il percorso continua in leggera salita.
Poco dopo la strada si biforca: a sinistra la strada delle Caterine, ora Via Pasubio, mette in comunicazione, a mezza costa, Via Piave già Via Costa con Via Monte Grappa e Via Ferruccio Marzari, il Lavo.
La Strada delle Caterine, oggi Via Pasubio, è punteggiata di abitazioni, qua e là, immerse nel silenzio e nel verde. Salendo da Via Costa, oggi Via Piave,fatti pochi metri, sulla sinistra, ecco un lavatoio e un’ abitazione di buona fattura “in Via Pasubio”.
“Storia di famiglia” Castegnero Domenico
L’edificio sulla destra del ‘700 mette in mostra un capitello della Madonna, incastonato nell’ angolo della casa. E’ questa casa Castegnero: Castegnero Pietro e Castegnero Antonio, in sasso bianco dei Berici, immutata nel tempo.
A monte della casa, la sorgente del Tovo alimenta la condotta che forniva un tempo acqua al lavatoio.

Oggi. Il lavatoio è secco e versa in stato di abbandono.
Sulla sinistra viene la casa di Desiderio Nicolato proprietà Tomasi. Giovanni Tomasi sposa Vittoria Nicolato, sorella di Vittorio cieco, detto Babao.
Una bomba l’aveva reso cieco ancora bambino.
“Storia di famiglia” Tomasi Eugenio
Oggi. Vittorio era vissuto con la sorella e con la famiglia Tomasi. Su alla Costa un edificio grande ospita Giovanni Tomasi.
La moglie se n’è andata e anche la salute. Restano la mente sveglia e la voglia di vivere, in barba agli acciacchi e alla sedia a rotelle.
Accanto a lui la figlia Marisa che, chiusa la porta di casa in Via Mano, dedica il suo tempo al padre.

Poco più avanti sorgono le case di Bisognin Leonardo, e Bisognin Emilio con figli.
Via Pasubio viene chiamata Strada delle Caterine, ma un tempo la parte risalente dalla Costa si chiamava Via Costa.
La Strada delle Caterine vera e propria è il tratto che, partendo dalle case dei Nanini, cioè di Caldonazzo Girolamo e Francesco, arriva a Via Monte Grappa, la Strada Nova.
Si prosegue per la strada un po’ dissestata di Via Pasubio; dopo 200 metri, sulla sinistra, sorge la fattoria di Caldonazzo Felice e Pietro.
Nella Corte volta a Sud, esiste un lavandaro.
Poco prima dell’incrocio con la strada militare (Via Monte Grappa), sulla sinistra, si apre una stradina, in ripida discesa, che conduce alla corte di Marzari Ettore, detto Bodo, coniugato con Calori Vittoria da cui ha avuto 7 figli.
“Storia di famiglia” Marzari Giuseppe (Bodo)
Oggi. La Strada delle Caterine, o Via Pasubio, si presenta in penoso dissesto. Perse le murette confinarie in pietra basaltica, i cigli risultano aperti sulla valle sottostante; quello inferiore è soggetto a importante dilavamento pluviale. Alle abitazioni storiche si sono aggiunti altri fabbricati, adibiti sia a uso civile che ad uso agricolo.
Il luogo conserva un fascino particolare, percorso verso l’alto e verso il basso da viottoli e carrarecce ormai in disuso, ma ancora visibili nel tracciato originale. Vi allignano tuttora molte piante da frutto che ogni anno, ma inutilmente, offrono i loro tesori.

Compiamo il cammino a ritroso e torniamo al bivio tra Via Pasubio e Via Piave, alla Costa.

Betta Oselona
Betta, la bella Betta dagli occhi chiari e dal dolce sorriso luminoso; la Betta che si era visti partire i figli Mario e Rina per l’Australia, che aveva compiuto innumerevoli traslochi e ne serbava l’amaro ricordo; la gentile Betta orgogliosa dei suoi figli, di quelle figlie dai capelli biondo rame, le labbra carnose e gli occhi ridarelli.
La ricordo, ormai vecchia e rinsecchita, su un letto d’ospedale. La memoria se n’era andata e accanto a lei vegliava la nuora, quella Romedia Bisognin, non nuova all’assistenza. Dal volto rugoso e sofferente di Betta trasparivano ancora le vestigia di una bellezza antica, cui si era aggiunta la dignità di una vita vissuta senza risparmio: Betta contegnosa fino alla fine.

Elisa Caldonazzo
Lo sapevano tutti chi erano i Nanini: gente fine, con una tradizione nell’accoglienza e nei modi erano signori. La bella Elisa, una delle figlie, aveva fatto perder la testa a Vincenzo. Gli piacevano i modi di lei, il muoversi, il parlare.
“La vuoi?” gli aveva chiesto la madre Catina, “Sposala! Ma dovrai cambiar vestito!” Quando la bella Elisa entrò in casa Panozzo, trovò un modo di vivere alquanto diverso, rispetto al suo. Quella era gente abituata al lavoro duro, ai modi spicci, al cibo semplice e sano. Le modalità della tavola, i convenevoli, le delicatezze non potevano trovarvi posto.
Così cominciarono le tensioni, per la sposina: ne soffriva moltissimo. Il cognato Ermenegildo era ammogliato da tempo e la bella Betta aveva spalle più robuste.
Alla fine a cedere fu Vincenzo. I due fratelli separarono abitazione e beni. Ermenegildo si tenne la “monta taurina” e occupò la casa più in alto; Vincenzo scelse i campi e la casa più sotto; ed Elisa, non fece rimpiangere a Vincenzo la scelta compiuta.

Un luogo di culto
La Chiesa campestre di San Francesco, poi San Valentino, al Capo di Là, stava lì, alla curva di Via Costa, sovrastata dal severo e imponente edificio Zaccaria, oggi Vinante, poco discosta dall’abitazione dei Panozzo. La tradizione vuole che le pietre della muretta sulla strada siano quelle recuperate dall’edificio sacro.
Della piccola Chiesa, oggi, resta solo la campanella, custodita al Cimitero di Brendola. Un accordo con gli abitanti di San Valentino prevedeva il ritorno della campana in Contrà, una volta all’anno, nella ricorrenza della Festa Patronale.
Oggi, sul lato opposto dell’incrocio, dove Via Dante diventa Via Ortigara , “quelli del Cao de là” hanno voluto il Capitello dedicato al Protettore della Contrà, San Valentino, appunto. Luogo d’incontro nel mese di maggio, punto di riferimento, simbolo della vitalità della Comunità, il Capitello testimonia una devozione mai sopita e una religiosità ancora radicata nella bellissima Conca.
Magari … ci starebbe anche la campana.

Una casa e un mistero
Alta sul colle, bella e incantatrice…. Casa Zaccaria in tutta la sua mole, faceva tanto “mistero”. Le persone che l’abitavano, per noi bambini, appartenevano a un mondo inaccessibile. Quei muri grossi e ben difesi, tinti di rosso Venezia, quel grande portone con arco a tutto sesto parlavano di castelli incantati. Gli anni e un migliore approccio con i proprietari, molto smontarono l’immagine fosca.
Ma, ancor oggi, quella mole mi incuriosisce e mi affascina. Contribuivano a creare un’aureola di arcano i racconti dei braccianti.
Era quello un luogo di lavoro e lavoro, senza le usuali conversazioni della vendemmia, della suna o della mietitura; lavoro e basta: lavoro silenzioso, più faticoso. Probabilmente i racconti corrispondevano solo in parte a verità: un tempo tutti lavoravano tanto per poca ricompensa, sia chi aveva terra al sole, sia chi aveva solo le braccia.

I Nicolato
I Nicolato detti Pacagnei, altra famiglia storica di San Valentino. Nascono tutti alla Costa, da dove poi, come tanti ruscelli da un’unica fonte, si diffondono e pongono radici in paese. Ne troviamo in Via Ortigara, al Cerro, in Via B.Croce, Lamarmora… Grandi lavoratori e per tradizione di famiglia muratori sono conosciuti e stimati: un tassello di questo grande arazzo che è Brendola.

Il tempo e le case
Le case, attraverso il tempo, mutano: nella struttura che subisce le ingiurie degli elementi meteorologici e negli abitanti.
Sono gli abitanti a fare una casa. Se la stessa famiglia mette radici nutre una storia, anche quando l’edificio si trasforma: non muta il messaggio che dai muri trasuda.
La casa, per questo, è un libro aperto. Vi stanno scritti affetti e relazioni, fatica e sofferenza, matrimoni e nascite. L’orto e il pollaio narrano di una cucina sempre attiva; le stalle di filò; i cortili di serate carpite alle stelle. San Valentino, con le sue case, è un’intera biblioteca.

La Costa e le sue Corti
Corti a solatio, strutturate per garantire agli occupanti: calore, protezione, reciproco aiuto. Talune si snodano lungo la carreggiata; altre si chiudono attorno a un cortile centrale. Alcune, le più ricche e forse le più antiche, costituivano un’unica proprietà, dove regnava un patriarca, cui ubbidivano figli, nuore, nipoti: case, dove la famiglia era numerosa, ricca di nuovi virgulti e la vita teneva ritmi misurati.

 

Bellissime le corti dei Squaquara detti “Fuin”, che raccolgono ancora, seppur in maniera diversificata e in strutture modificate, buona parte della parentela. Invitante la corte di Ernesto Malachia*, dove la casa dei Frigo, di Bepi Gnicole, segna uno dei lati dell’agglomerato e gli altri sono costituiti dalle abitazioni di Ernesto Rigolon, Luigi Muraro, Giovanni Gennari e, in fondo, da quella di Maria Caneva.
Fiera e “polita” quella dei Bisognin in alto, dove i figli di Luigi vivono gli uni accanto agli altri, in una teoria di porte.
Minuscola e raccolta quella dei Gaiga, dove risuonano ancora le voci dei Frigo e dove i fratelli Gaiga hanno conservato in modo egregio la tipologia rurale del sito. Belle corti, testimonianza di una cultura del vivere che oggi ci illudiamo di rincorrere senza raggiungere.

Rigolon Ernesto

Ernesto Rigolon, ormai centenario, abita la casa che era stata dei suoi genitori.
Alto, asciutto, in collera con la vecchiaia, conserva del suo passato un lucido ricordo: i genitori, i figli, le fatiche. Gli anni gli hanno rubato le energie; fortunatamente non le immagini del passato e gli affetti.
Protetto dalle pareti della sua casa, guardato e curato con sollecitudine dalla figlia, accoglie gli ospiti come un dono, da vero signore, come è sempre stato.

Gli Squaquara
La Famiglia Squaquara va lontano nel tempo a cercare i propri antenati. Gli Avi venivano dalla Spagna. Quelli di Brendola sono nati tutti lì, sulle amene propaggini della Costa, ne hanno fatto il loro piccolo regno e il loro orgoglio.
Gli anni vedono protagoniste diverse generazioni: tutti rampolli innamorati della propria terra, della Collina della Costa, della profonda Valle più sotto, segnata dal Rio Freddo e dalla Degora; persone tenaci e lungimiranti, condotte per mano da una grande fede.

Con Gerolamo al triduo
A Grancona, la festa del Santo Patrono prevedeva un triduo. Era estate e la gente in pellegrinaggio poteva sostare anche sotto le stelle. Gerolamo, giovane, da buon devoto si era recato al triduo e poi, la domenica, s’era fermato per la festa. A casa le zie lo attendevano con ansia, convinte che gli fosse successa una disgrazia.
Il lunedì il giovanotto tornò e, come varcò l’uscio, fu investito da rimproveri e rampogne di famiglia. Gerolamo lasciò passare la prima onda d’urto.
Poi prima che le donne riprendessero fiato, alzando una mano, quasi a chiedere la parola, esclamò: “Zie care, niente paura: sono tornato solo per cambiare I fazzoletti.!” e, arraffati un paio di fazzoletti, guadagnò il largo.

I Bisognin
Erano tutti della “Mezza Costa” i Bisognin di San Valentino, tutti discendenti di Bisognin Angelo e Frigo Maria. La casa di Via Pasubio, del 1703, edificata lungo la linea dei fontanili, godeva di fontana e lavatoio e si proponeva nella tipologia caratteristica della Collina Vicentina. Con il passare del tempo, al nucleo centrale si era addossato l’edificio per I figli.
Poi la famiglia era cresciuta e risultò evidente che qualcuno doveva andarsene. Così Felice e Giobatta scelsero di andare allo Scaranto; Piero e Leonardo restarono nelle case di origine, Gerolamo si spostò verso l’attuale Via Monte Grappa e Piero restò con Giobatta fino al 1927, poi si spostò a Pressana, da lì fino al Gambero di Montebello, per fabbricarsi la casa a Meledo.
La diaspora creò una spaccatura evidente: sorsero nuovi ceppi e nuovi interessi; la terra coltivata, buona parte in affitto, divenne tanta e dislocata tra colle e pianura: i Bisognin occuparono il territorio e idealmente (almeno all’inizio) se ne appropriarono.
A mezza Costa, dei figli di Piero era rimasto solo Emilio che, sposato a Irma Lovato, aveva nove figli. Tra i figli di Leonardo, Felice sposa Lovato Libera, sorella di Irma, e genera cinque figli; ma se ne va nel 1938.
Lì la Collina è un piccolo Paradiso terrestre, frutteti e vigneti; la terra è dura, ma generosa. Il cibo c’è per tutti. La vita procede senza grossi scossoni finché non viene la morte a bussare: Lovato Irma, (sorella di Libera Lovato, già deceduta nel 1952) muore nel 1954. Dei suoi 9 figli, Renzo, il più piccolo, ha 5 anni.