Via Piave “2”

Dal bivio tra Via Pasubio e Via Piave, alla Costa ora si sale e si va verso lo Scaranto Palina. Dopo 100 metri, sulla sinistra, si incontrano le case della famiglia Cavalcanti, detti Bosemini: quella di Cavalcanti Concetta in Tovo e della madre Maria, vedova Daniele, situata in curva, a solatio. Lo zio di Concetta si chiamava Michele e aveva sposato Maria Gennari della Costa.
Altro fratello era Pietro Cavalcanti, papà di Claudia.
Quindi, continuando a salire, poco più avanti, dopo una semicurva dolce, sulla destra, si giunge alle Corti Bisognin della Costa.
Nel primo poderoso edificio, sulla destra, abitava Bisognin Felice, nel secondo, una lunga teoria di case accostate, con stalla in cima e stalla in fondo, Giobatta o Giovanni con i figli.
Venivano dalle Caterine e si erano stabiliti allo Scaranto in quelle case a schiera che insistono sulle terre a balze, distese tra la Pria Longa e la Conca della Contrà Mulini.
“Storia di famiglia” Bisognin Giovanni (della Costa)
Salendo verso lo Scaranto, prima di arrivare a Corte Bisognin, ecco a sinistra la Fontana dei Tovo. Alimenta un lavandaro ed è ricca d’acqua sorgiva (alimentava anche il lavandaro dei Castegnero).
Sulla stessa linea discendente, due centinaia di metri più sotto, troneggia il lavandaro de Pippo,la vasca con sorgente che serve Olimpio Bisognin e le corti prossime. Altri duecento metri più in basso sta la Fontana fredda, lungo Via San Valentino.
Più sotto ancora sgorga la Fontana dei Mulini. Acqua preziosa d’estate e d’inverno, le fontane hanno alimentato gli orti, sciacquato panni, ristorato corpi.
Oggi. molte di queste sorgenti naturali non sono più curate; alcune, obsolete, hanno disperso le loro acque in cunicoli sotterranei, altre riversano la loro ricchezza per ruscelli e scaranti. L’acqua del rubinetto ha fatto dimenticare un dono prezioso: l’acqua pulita e salubre delle nostre colline.
Corte Menotti – Palina
A sinistra della strada, di fronte alla casa di Felice Bisognin,si apre la corte Rigolon-Frealdo . Questa è la corte detta delle Paline: Rita, Fiorinda e Maria.
La prima casa della corte alta era quella dei Frigo(Paela).
Vi troviamo:
I Frigo di Corte delle Paline: con il capostipite Luigi Frigo, che sposa Angela Acco.
Questi i loro figli:
        Maria(Suor Clarice)
        Emilio, (detto Rua Paela) marito di Gemma Sambugaro
        Emilio andrà poi, come mezzadro dei Clerici al Gazzolo;
        Agnese 1916 , moglie di Pio Castegnero (vedi Fam Castegnero), Vittoria, Giuseppe (detto Caporale) , marito di Valente Armida e Luigi (detto Jio Sigola) che sposa Maddalena (Neni) Rossi dal Castello.
Il proprietario era un cugino di Jio Sigola, Luigi Frigo, da sposare.
“Storia di famiglia” Frigo Francesco
Successivamente vi abitano:
Luigi Frigo (Paela) + Neni Rossi che ha dei figli (un maschio e due o tre femmine; una era Cesira).
In epoca successiva la stessa casa viene abitata da Piero Cavalcanti, detto Bosemin marito di Cesira Frigo, Paela e dalla figlia Claudia, moglie di Dalle Nogare (Pietro Cavalcanti ha anche una sorella di nome Emilia).
La seconda è quella di Rigolon Antonio, Menotti;
La terza apparteneva alla”Vecia Casona”(comprano i Maran)
La quarta era dei Maran: di Francesco Mercori che ha una figlia:Luciana e di Romano Maran Mercori .
“Storia di famiglia” Maran Romano
La quinta (quella dove abita Rigolon Francesco) era abitata da una famiglia Vaccarotti . In tempi diversi vi avevano soggiornato:Maran Giuseppe con 8 o 9 figli e un Cazzale di Aosta. Quindi, alta, sulla strada si erge la corte con casa dove abitavano Frealdo Luigi e Vittoria Donadello (da Marostica).
La casa di Francesco Rigolon, Menotti vedovo di Lucia Cervellin da Grancona, sta proprio dietro casa Frealdo.
Oggi le tre unità ultime sono state accorpate in un’unica proprietà.

Continuando la strada, un poco dopo lo Scaranto Palina, circa 30 metri, sulla destra, sorgono alcune abitazioni a schiera. Sono quelle dei fratelli Bisognin Luigi, Giuseppe e Valentino.
Oggi la corte freme di vita. Qui i figli non se ne sono andati; hanno rinnovato, ristrutturato internamente, sostituito le stalle con abitazioni nuove.
La collina così continua a vivere.
Dietro la casa dei Bisognin, una stradina in terra battuta conduce alla casa di Alma Frigo. Figlia di Chicchi Paela, Francesco Frigo, aveva vari fratelli: Giuseppe chiamato Bepi Francia, Luigi, Vittoria, Agnese.
“Storia di famiglia” Frigo (I Paela della Costa)
Giovanni detto, Nani Paela , aveva sposato Alfonsa Rigolon (abitano ad Alte).
Figli : Maurizio, Luciano, Leonora, Luisa. Alma sposò un Bertocco da San Vito ed emigrò in Francia, da dove tornò con il suo bambino per vivere nella sua casa.
Proseguendo in salita, ecco sulla destra una stradina dove in due case affiancate abitavano, nella prima la Famiglia De Santi e nella seconda Rigolon Mariano (figli dei De Santi: Albino, Arduino, Silvano poi vendono la casa ai Rigolon). Nella casa dei De Santi aveva abitato anche Acco Angelo. Di fronte, sulla sinistra, si apre un’altra stradina: conduce alle case di Zordan Emilio e Noventa Maria. Scendendo si ritorna alla via principale. Dopo 20 metri, sulla sinistra, vi è il lavatoio dei Menon.
“Storia di famiglia” Menon Antonio
Il manufatto è stato rinnovato, pulito, riattato ed abbellito con il capitello a Santa Bertilla.
Sopra il lavatoio sorgono le abitazioni di Menon Tranquillo e Bisognin Valentino.Qui un tempo abitava anche Elisabetta Menon, sposata Dalle Nogare.
La strada che ora prosegue fiancheggiata da bosco continua a salire. A destra prende vita una stradina sterrata che conduce alle case del Gazzolo.
Prima si incontra l’abitazione di Frigo Maria, Gnicole, e Bedin Luigi.
(Frigo Maria era parente dei Rossi del Castello. Rossi Antonio aveva sposato Teresa, una sorella di Maria Gnicole).
Sono genitori di Grazia Bedin sposata a Remigio Barba. Maria Frigo, Gnicole, era cugina di Frigo Luigi detto Marco e di Michele che faceva il calzolaio.
La famiglia Barba-Bedin abita la casa “vecchia” da cui hanno avuto origine i “Gnicole” .
La stradina in terra battuta continua e, un tempo, arrivava fino alla corte Silvestri.
Lambisce dapprima casa Gnicole e poi 50 metri più avanti raggiunge la corte di Frigo Emilio detto Rua Paela, Frigo Massimiliano detto Paela, Clerici (ora Gaiga) e Aldo Bertocco, figlio di una Bedin Baghera.
Dopo la partenza dei Clerici (sfollati da Vicenza in tempo di guerra), nei primi anni ’50 nella corte arriva la Famiglia Gaiga. Negli stessi anni Frigo Emilio muore (1958).
“Storia di famiglia” Gaiga Giovanni
Quando il cavallo era quello di Sant’Antonio.
Quando la gente andava quasi tutta a piedi, Brendola era una palestra: salite e discese, d’inverno e d’estate. Le persone si conoscevano tutte, per necessità e la Scuola stava al Capoluogo. Allora avere una bicicletta era segno di distinzione, di un certo benessere. Per strano che fosse, tutti i bambini erano sempre presenti a scuola, anche le ragazze Silvestri e i ragazzi Tadiotto, senza lamenti.
Chissà che polverina magica si usava allora!
I Gaiga giungono da Durlo di Crespadoro, dove Giovanni era stato Sindaco. Sposa il 12/2/49 Ida Franchetti. Acquistano la casa dei Clerici nel ’55 e vengono ad abitarvi nel ’56.
Quindi acquistano le altre case della corte, quando Frigo Giuseppe esce nel 1974.
In Corte dei Frigo e dei Gaiga, ancora prima dei Clerici, nella casa da essi occupata, vivevano tre fratelli: Frigo Emilio Rua Paela (era cugino di Chichi Paela, Francesco Frigo), Frigo Luigi Jio Sigola, Frigo Giuseppe Bepi Caporale e tre sorelle: Suor Clarice, Vittoria, Agnese.

Ritornati alla strada principale, si può notare che la carreggiata diventa più stretta. Continua in salita finché a trecento metri si giunge a un bivio e, sulla curva a gomito, proprio all’angolo, ecco la fattoria dei Silvestri (agriturismo Bedin), essi hanno 8 figli.
“Storia di famiglia” Silvestri Angelo
Dal bivio, girando a sinistra, incontriamo una stradina sterrata che conduce alle case dei Francesconi, Bedin Antonio detto Baghera. Dietro le case, poi, un sentiero, passando per il bosco, conduceva (e conduce) verso Perarolo.
Oggi. Casa Silvestri, divenuta agriturismo Bedin (di Alessandra e Bruno Bedin da Perarolo), è un noto luogo di ristoro, appiccicato lassù, tra i capricci del cielo e i misteri del bosco, sopra un piccolo pianoro.
Conserva tutta la dolcezza di un tempo e anche il fascino di una casa molto ”vissuta”.
A guardarla, un poco da lontano, sulla stradina per il bosco, mi sembra di vedere ancora le tante, tante ragazze Silvestri, bionde con i capelli fissati da un fermaglio, il vestito della domenica e la borsetta ricamata, rincorrersi e chiamarsi; e poi fermarsi a guardarti come una stonatura in quel mondo perfetto.
La casa quelle immagini le conserva tutte.

Un poco più in su dei Silvestri, nella casa gialla abitava e abita Menon Aldo, che è andato in pensione; si occupava di campi e cantina. La casa successiva appartiene a un signore che viene da fuori.
Ritornati al bivio e proseguendo diritto, dopo 30 metri, si trova a destra la casa di Antonio Tadiotto, con 7 figli. Vengono da Perarolo, ma hanno abitato in vari paesi dei Berici: uno per ogni figlio. I Tadiotto erano proprietari dei terreni che coltivavano (a Olmo avevano 20 campi).
“Storia di famiglia” Tadiotto Antonio
Sulla facciata della casa, verso la strada, vi è una nicchia con l’immagine della Sacra Famiglia.
L’ultimo dei Tadiotto

Non so se sia veramente l’ultimo; ma a Brendola non ne ho incontrati altri. Arzillo, vivace, mente sveglia, non gli daresti gli anni anagrafici. Si è trasferito in Via Lamarmora. “Gli anni e le gambe!.” dice sorridendo.
Lui e la moglie si godono i giorni come un dono speciale: hanno abbastanza salute, la pensione e una casa comoda ai servizi. “Che vuoi di più dalla vita?” Vivono con Dio, apprezzando quanto Dio ha loro riservato.
Oggi. Casa Tadiotto è chiusa. Il silenzio ha sostituito l’allegria e il vociare dei componenti.
La strada prosegue poi verso la cava di pietra che fino agli anni ’50 funzionava attivamente, il trasporto delle pietre veniva fatto su carri agricoli con la base piatta e trainati da due buoi.
Torniamo alla casa Tadiotto. Di fianco si apre e si snoda un piccolo sentiero in discesa, che ci conduce nella sottostante Via Maraschion (ora Via Isonzo). Qui era la bella casa di Frigo Angelo (Angelin Paela).

El Logo de la Pria longa
La strada della Costa è pressoché in salita fino allo Scaranto. Dopo l’imbocco per Via Postumia, a sinistra, si offrono brevi slarghi rubati al monte, appezzamenti a vigneto o a uliveto, curatissimi; una corte a solatio.
Alti noci svettano sui bordi delle murette di basalto, disegnando serici ventagli. A destra, tra il tessuto degli alberi e della ramaglia, si intravvedono case isolate, corti accosciate, quasi colte a giocare a nascondino; e una valle solcata da scarantelli, rigagnoli o torrenti, figli di fontane, limpide sorgive d’altura.
Giunti allo Scaranto, dove la strada si fa piana, è obbligo sostare e guardarsi intorno.
A sinistra stupisce la corte raccolta e sopraelevata dei Menotti-Rigolon e dei Palina; a destra risalta l’imponente edificio-fattoria di Felice Bisognin.
La corte dei Menotti, un topazio incastonato sopra uno spuntone di roccia, un tempo risuonava di voci e di vita; oggi è silenziosa. L’unica casa abitata è quella di Francesco Rigolon, fiero cultore della storia della sua famiglia e di quella della Contrà: storie dello Scaranto, della vita di sacrifici al tempo dei nonni; dell’attaccamento quasi viscerale alla terra avara della collina.
Ma un silenzio più pesante “cattura” dalla casa di fronte, dalla “magione” che un tempo era del “Signor Felice”. Costruita ai margini della proprietà, rappresentava il punto di riferimento, il cuore pulsante di quello che era chiamato “El logo de la pria Longa”. Lì erano approdati Felice Bisognin e il fratello Alessandro, provenienti dalla casa paterna delle Caterine.
Il podere, dapprima in affitto, verso il 1890 era divenuto proprietà della famiglia. Qui erano cresciuti i figli di Felice e anche quelli di Alessandro. Poi il nucleo familiare aveva cominciato ad allargarsi: i figli si sposavano, arrivavano i nipoti… Alessandro, nel 1927, spostò la famiglia a Pressana, poi al Gambero di Montebello, lungo la strada; infine si costruì la casa a Meledo.
Felice con la moglie Frigo Angela rimase il padrone unico al Logo della Pria Longa. I figli erano otto: quattro maschi e quattro femmine.
Col passare del tempo le ragazze si erano sposate; dei maschi Giovanni aveva sposato Marina Frigo e si era spostato alla Colombara, in affitto nella terra di Ferruccio Marzari; la conduzione restava sotto la supervisione del padre, Felice.
Al Logo rimasero Silvio, Olimpio e Mariano. Silvio sposò Regina Borin, Tripoli, Olimpio Lovato Rina, sorella della moglie di Balbo Basilio, e Mariano o Mario sposò Linda-Maria Borin, Tripoli.
Morta la moglie Angela, fedele e valida amministratrice, la borsa della spesa passò a Regina, la nuora più attempata.
Felice lavorava e amministrava. Passava per i campi dove faticavano figli e nipoti: osservava, consigliava, rimproverava, suggeriva.
Il Logo diventò un piccolo paradiso. Nelle giornate estive, la fontana d’altura, cento metri più in basso, gli offriva frescura, acqua fresca, ciliegie asprigne e dissetanti. D’inverno la famiglia riunita garantiva calore e sicurezza.
In quel regno Felice fu re fino al 1955, quando, stanco di anni e di lavoro, andò a riposare in un posto ancora migliore. Infine, tra il 1961 e il 1966, Silvio e Mario, con la parte di eredità ottenuta dalla spartizione al Logo de la Pria Longa, acquistarono, con le mogli, “el Logo de Ferruccio Marzari” alla Colombara.
La grande casa, divenuta improvvisamente quasi silenziosa, restò tutta a Olimpio e alla moglie Rina. Quando Olimpio prima e la moglie poi conclusero le rispettive esistenze, la casa passò in eredità a Domenico Bisognin, nipote di Olimpio e a Nadia Balbo, nipote di Lovato Rina.
Così el Logo de la pria longa si è ammantato di silenzio. Tra le pareti della grande casa si aggirano le ombre del passato, le frasi dette e quelle sussurrate, le risate e i pianti, i ricordi dei giorni lieti e quelli dei giorni tristi. Da parete a parete passano le parole di Felice, di Angela, vigili sullo svolgersi dei giorni, le parole complici delle nuore, gli scherzi dei figli; e gli aromi dei cibi, il tintinnare dei piatti.
La grande casa conserva tutto. E la fontana più in basso continua a sgorgare. L’hanno chiamata la fontana de Pippo, la fontana del Logo de la pria longa.

Foglie di tabacco e anitre nel sacco
Quando l’economia delle nostre comunità si reggeva anche sulla coltivazione del tabacco, era in uso presso le famiglie contadine un ago speciale, lungo e con cruna larga, per poter infilzar le foglie e cucirle insieme. Ne risultavano certi mazzi da cento foglie, che poi venivano messe ad essiccare, appesi ad una trave.
Questo succedeva in estate; poi gli aghi, di norma, tornavano a riposare fino all’anno successivo. L’attrezzo, tuttavia, godeva della simpatia dei ragazzini e non sempre stava a riposo.
Un anno, in corte di Bisognin Giobatta, Rina, la moglie, aveva fatto nascere una bella covata di anatrine. Le bestiole erano bellissime, nel loro tenero piumaggio giallino, meravigliose, incantevoli! Se ne sarebbe potuto fare un festone, da appendere alla trave del portico.
Alberto, il figlio, non ci pensò su più di tanto. Andò in cucina, aperse il cassetto della credenza, si impadronì dell’ago da tabacco, recuperò un bel pezzo di gavetta e … si accinse all’opera: infilzò, alla maniera delle foglie di tabacco tutti quei teneri batuffoli; poi appese il festone alla scala.
La cronaca non riferisce il seguito.

Giobatta Bisognin
Giobatta si era staccato presto dal nucleo delle Caterine e si era spinto allo Scaranto, più su di dove sarebbe approdato il fratello Felice.
Aveva acquistata quella che oggi è l’abitazione di Albano Bisognin. Poi l’edificio, con l’arrivo dei figli, cominciò a” brontolare e mugugnare”: non poteva contenere 11 ragazzi.
Così Giobatta e la moglie dovettero darsi da fare per allargare casa. Sorsero altre unità: quella di Bisognin Giuseppe (oggi vi abita Redenzio) e quella di Valentino ed Esterina (chiusa). Sorgono anche due stalle, una all’inizio della corte e l’altra a conclusione.
I muri non lamentavano più e Giobatta ebbe una bellissima famiglia.

Alma e la Fontana
Alma Frigo (Paela) abita la casa dei silenzi e dell’incanto. Adagiata tra vigneti e filari di gelsi, per amica una fontana con lavatoio, la casa dell’Alma si beve tutta la brezza che da Strabuseno si precipita a valle assieme all’acqua degli scaranti. Sembra di entrare in una di quelle fiabe dove gnomi e fate trasmutano e sono alberi e fiori. La fontana sta sotto ai margini dell’avvallamento e chiacchiera e ride, la fontana magica che si veste di zefiri quando sorge la luna. Regina indiscussa del luogo, campi e viti, carrarecce e fontana canterina è lei, Alma, sempre affaccendata. Nella casa accanto abita il figlio.
Oggi. Alma ha subito l’insulto degli anni, ma lo spirito è lo stesso e la sua casa solitaria conserva una sfumatura di sacro: la tipologia rurale dell’edificio non è mutata. Alma vi risiede con orgoglio, anche se non gode più della compagnia del suo astutissimo cane.

Frigo Massimiliano
Alto, asciutto, taciturno. Nella sua saggezza c’era tutto il sapore della terra che lo aveva visto nascere e lo nutriva: tanta fatica, ma anche rispetto per ciò che lo circondava. Si occupava della stalla e dei campi.
S’era preso in moglie un donnino tutto pepe, capace di fare “i piedi alle mosche”, bravissima, mai ferma. Quando Silvia lo lasciò, lui, Massimiliano, si sentì perduto. Solo quattro figli e una grande dignità fecero da argine al dolore.

Silvia Caldonazzo
Allorché Silvia Caldonazzo giunse sposa al Gazzolo, di campi se ne intendeva un po’ poco, visto che la sua era famiglia di artigiani; di campi di monte, poi, ancora meno. Ma a Massimiliano voleva bene, lei piccolina, minuta e socievole, lui alto, magro e taciturno.
Così, per darsi da fare e aiutare il suo uomo, quando aveva tempo, raccoglieva i sassi disseminati dappertutto tra la terra. Prima o dopo sarebbero finiti. Un giorno in cui, coperta di sudore, stava trascinando verso la capezzagna una cesta di ciottoli, la chiamò la vicina, la vecchia Maria Gnicole: “Sposeta… parmetela ca ghe diga ‘na roba?”
Silvia, che era la compitezza in persona, depose il fardello e si avvicinò alla siepe divisoria.
“Buon giorno…la me diga…”
“A go da dirghe che, da quando son nata, mi sassi in medo ala tera gh’in go senpre visti! La xè fatiga fata par gnente, cara! A xé mejo che la se reposa!” Silvia non ci mise molto a costatare la verità di quanto asserito dalla saggia vicina.

Frigo Emilio
Frigo Emilio (Milio Paela) approda al Gazzolo in tempo di guerra, come mezzadro dei Clerici. Quando i Clerici venderanno ai Gaiga, Frigo Emilio resta ancora per cinque anni. (Giuseppe era detto caporale perché durante il servizio militare aveva ottenuto il grado di caporale)

I Cavatori di pietra
Facevano Nicoli di cognome. La pronuncia all’italiana voleva l’accento sulla o. Oggidì pronunciamo Nìcoli, grazie alle immigrazioni dall’Est ma Nìcoli o Nicòli sempre cavatori di pietra erano.
“Storia di famiglia” Nicoli (Il Moro)
La Contrà ha il ricordo di due fratelli: Nicoli Ettore e Nicoli Tullio.
Ettore abitava in Via Valle, nella corte dei Potente o de Fereto, con moglie e numerosa figliolanza (Silvano, Alma, Adriana, Adriano.)
L’altro si chiamava Tullio e aveva sposato una Luigia da Pozzolo. Abitavano in Via Guarenti.
Figli di Tullio:
Giuseppe
Flora (Meledo)
Luciana (va a Milano dove il marito guidava un taxi; poi torna in Via Valle)
Natalina (Alte)
Franca (Venezia)
Franco (Via Guarenti)
Anche Alberto Rigolon dava una mano. La cava, proprietà di Zoncato da Olmo, da tempo risulta obsoleta. Quanto ai trasportatori di blocchi, il più quotato era Angelo Frigo, con i suoi buoi.
I tempi recenti videro gli autocarri, ma anche qualche grosso masso precipitare a rotoloni.

Ettore Nicoli
Allampanato e un poco curvo, lavorava la pietra con grande passione. La mano sicura. Di norma faceva il cavatore, ma sapeva usare martello e scalpello. L’arte si trasmise al figlio Silvano. Per quanto lavorasse, Ettore non godeva di grande agiatezza: nove figli erano tanti da mantenere. Nel tempo, alla fatica del lavoro si unì anche quella dei traslochi: San Gottardo, Priara, Valle (corte dei Potente-Ferretto), Bregolo, San Marcello, Alte, Orna e poi ancora Brendola: un vagare senza fine. Dopo la morte di Fulvia, Ettore visse ancora per qualche anno. Si spense all’età di 100 anni in casa della figlia Adriana.