Contrada della Chiesa

Ai primi del ‘900 questa contrada era il centro storico e principale del paese, dove si concentrava la maggior parte dei servizi.
Sulla piazza del Popolo si stagliava maestosa e solare la facciata della chiesa arcipretale dedicata a S. Michele, nella quale affluiva per le celebrazioni tutto il paese (all’infuori della frazione di S.Vito, che ha sempre avuto la sua chiesa.).Vi fu arciprete don Emilio Gresele dal 1901 al 1911 e don Francesco Cecchin dal 1912 al 1949.
A nord della piazza si trovava la canonica, dall’aspetto signorile ed elegante, con l’ampio e ombreggiato giardino; qui vi erano anche le sedi delle varie associazioni cattoliche: la confraternita dei “Capati”, le donne di Azione Cattolica, la congregazione del Santo Rosario e le consorelle del SS. Sacramento.
In una stanza dell’edificio, detto Casa della Dottrina, vi era la sede della Società Operaia di Mutuo Soccorso, istituita nel 1893, il cui scopo era dare un aiuto o un contributo alle persone che si trovavano in varie difficoltà, sia fisiche che finanziarie.
A fianco della canonica, ma unita ad essa, vi era la Sede Comunale; oggi è uno stabile con due poggioli in ferro e al centro una lapide, che attesta l’inaugurazione del primo acquedotto fatto costruire dall’allora sindaco, sig. Felice Piovene, a sue spese.
La sede municipale sarà trasferita più tardi in via Roma.
Nei piani superiori dello stesso stabile vi erano le aule per le scuole della 1ª – 2ª – 3ª classe elementare, con l’entrata all’inizio della strada che saliva al castello; nel 1903 le aule risultavano insufficienti per il continuo aumento della scolaresca, così fu necessario usufruire di stanze in affitto nella contrada.
Nel 1924 le scuole furono trasferite in via Roma, in un ampio edificio nei pressi della sede del Comune (ora sul posto si trova il complesso residenziale “Rocca dei Vescovi”).
Nelle vicinanze abitavano alcuni maestri: De Marchi Luigia, nella casa Zimello; Penzi Lucia in Beltrame e Fusari Giovanni, in via Roma. Bolzan Carlo stava a fianco di casa Zimello, sulla strada verso il castello.In piazza, nell’edificio di fronte alla facciata della chiesa, vi era la prima sede della Cassa Rurale e Artigiana, fondata nel 1903; successivamente fu trasferita sopra la sala del teatro, in via Torino, presso la sede della società cattolica giovanile
Pro Fide e Patria. I primi impiegati furono: Pasetto Giuseppe, figlio del socio fondatore Antonio, e Smania Elisa (detta Isa Fiorela dal nome del padre che si chiamava Fioravante).
ABITAZIONI CHE DAVANO SULLA PIAZZA Nello stabile allungato che si trova alla sinistra della facciata della chiesa, (attuale ristorante,
Novecento) c’era la macelleria di Meneghello Vincenzo Cencio Beca ( poi del figlio Enzo); dietro l’abitazione, sempre entrando dal piazzale, ove si vede ora un grande portone in legno, c’era il macello.
I piccoli agricoltori del paese che avevano buoi, mucche, vitelli, capre o pecore trattavano con lui la macellazione, dopo un breve colloquio di intesa sul prezzo si davano una buona stretta di mano e il venditore, riservandosi una piccola parte del capo venduto, accompagnava tristemente, a piedi o sopra un carretto, la bestia al macello.
Negli anni ’70 il negozio fu trasferito in contrà Revese.
Verso gli anni’40 si insediò, sempre nella piazza a fianco della macelleria, un fotografo e riparatore di orologi, Zerbato Guido, successivamente trasferitosi ad Alte di Montecchio.
Questi, quando aveva delle negative che non riusciva a sviluppare con la sua attrezzatura consegnava il materiale ad uno studente che andava a studiare a Vicenza, che lo portava ad un fotografo specializzato, Raschi, e quando le foto erano pronte provvedeva a riportale, dietro compenso di una foto gratis.
Nel 1915 furono costruiti sotto la mura della piazza dei servizi igienici per la scuola e per il pubblico che affollava la

piazza della chiesa, specialmente nei giorni festivi.

 

 

 

Processione

Il venerdì Santo, alla sera, si svolgeva la processione che partendo dalla chiesa procedeva per via Secole (ora v. Zanella ), poi al Bregolo (v. Fogazzaro), p.zza del Vicariato e via Madonnetta, (ora v. Asiago) per ritornare alla chiesa.
Vi era una grande partecipazione: tutti i fedeli portavano ceri accesi, il parroco don Francesco Cecchin procedeva con il Santissimo coperto da un drappo sostenuto da quattro “capati”, più altri sei che portavano dei grossi ceri.
Le finestre delle abitazioni, dove si snodava la processione, erano addobbate con dei drappi o copriletti o lenzuola ricamate e con i lumini accesi . Dal tema di un bambino delle elementari nel 1946 si ricava questa testimonianza: Nella settimana santa mi sono divertito specialmente nei giorni di vacanza perché alla sera andiamo in piazza della chiesa a giocare, ma ero un po’ impaurito perché era morto il Signore. Venerdì, quando sono andato in processione, mi sono messo davanti a tutti, vicino alla croce, siccome c’era vento quando accendevano le candele si spegnevano subito o si bruciava la carta colorata attorno, così davanti ero più sicuro. Passando per il Bregolo, si vedeva a Montecchio una grande croce di lampadine.
Dal dottore (casa del vicariato) e da Veronese (vescova) erano le più belle case illuminate e in due parti della pianura più lontane si vedeva anche là dei chiarori grandi. Nella casa mia abbiamo messo fuori la croce e la stella illuminate con lampadine avvolte su carta rossa e anche sulle finestre ed è diventato tutto rosso.
In chiesa i crocefissi e le immagini dei santi venivano coperti da dei drappi viola, in segno di lutto e veniva deposto il corpo di Gesù a grandezza naturale, su un catafalco sistemato al centro della chiesa e le donne della contrà adornavano il corpo con fiori di tuberose azzurre”.

Questua

Era tradizione, ancora da tempi più remoti, che il parroco, per sostenere le spese della parrocchia andasse due – tre volte l’anno dai parrocchiani a prendere la questua, così assieme al sacrestano e ad un chierichetto passavano per le famiglie a raccogliere le uova, il frumento, il sorgo e l’uva ; il sacrestano partiva con due ceste e bigolo” a tracolla per la raccolta delle uova oppure con il carretto trainato da un asino della famiglia Bedin Antonio, detto Macia, dal castello per raccogliere il frumento o l’uva. Nell’occasione il parroco benediva le case e intrattenendosi con gli offerenti dava una parola di conforto o dei consigli. Questa tradizione durò fino agli anni 60.

Sagra

Il 3 marzo di ogni anno ricorreva la festa di S. Rocco, si iniziava con i festeggiamenti religiosi (c’erano le tre messe mattutine alle ore 6,30 – 8,30 – 10,30 e le SS. Funzioni); nel pomeriggio dalle 15 si svolgevano i giochi in piazza con la cuccagna, la rottura delle pignatte, la corsa con i sacchi e infine la grande tombola, organizzata dalla Società Operaia del Mutuo Soccorso.
Vi partecipava tutto il paese, la piazza era gremitissima e tutto era rallegrato dalla musica della banda brendolana.
Il cartellone della tombola aveva una grandezza di circa 9 metri quadri ed era installato sopra la mura dell’entrata della canonica, in modo che le persone anche le più lontane potessero vedere i numeri al momento dell’estrazione; questa era effettuata da un bambino che messo in cima alla mura della canonica a fianco del cartellone, guardando la piazza piano, piano levava una pallina dalla borsa e la consegnava allo spicker che annunciava il numero estratto, una persona da dietro il cartellone con un’asta lunga faceva girare i numeri chiamati.


I premi consistevano in animali o alimenti, spesso il premio più grosso era un maiale. Le estrazioni venivano effettuate alle ore diciassette, alla fine del gioco le persone che avevano vinto facevano la mancia al bambino che aveva estratto i numeri, questa veniva spesa in dolciumi (detti sagra).
Gli stessi festeggiamenti si facevano anche per la festa del patrono S. Michele il 29 settembre; però al posto della tombola si faceva la corsa dei mussi con cavaliere, che era il proprietario, il percorso prevedeva la partenza dalla piazza fino alla contrà Lavo e ritorno.
Era una gara molto divertente, sia per il pubblico che per i partecipanti, che erano circa una decina; poiché sappiamo che l’asino è un animale piuttosto estroso, capitava che qualcuno procedeva , ma qualche altro non faceva neanche un passo malgrado l’incitamento del cavaliere. Alla fine si premiava il vincitore con un corona d’alloro e un premio in denaro.

Illuminazione

L’illuminazione elettrica arrivò nel 1913, nella contrà e per la sede del Comune; venne fatto il primo impianto con un contratto di luce pubblica, per la durata di 10 anni, di 20 lampade della potenza di 16 W ciascuna. Prima, si illuminava con candele o con il canfin o con lumi ad olio. In chiesa, dal soffitto sopra l’altare maggiore pendeva un grosso candelabro composto da quindici candele, che si chiamava la ciocara.
Poiché sopra l’altare c’erano 12 grossi candelabri e ai fianchi della navata altri due candelabri con sei candele ciascuno, in tutto ci volevano una quarantina di candele solo per l’altare maggiore. Si pensi al lavoro del sacrestano per accenderle e spegnerle.
Il primo impianto elettrico nella chiesa di S. Michele venne effettuato nel 1914 dal sig. Zimello Igino, il quale era anche incaricato dalla Società Elettrica di riscuotere i soldi, previa lettura del contatore, dei pochi utenti allacciati.

Guerra: nella Canonica Comando Militare

Nel periodo della guerra del 1915 – 18, durante l’avanzata dell’esercito Austroungarico(la Straf-expedition), nella zona degli altipiani di Asiago, Lavarone e Tonezza c’era pericolo di sfondamento del fronte, Brendola divenne allora sede di rifornimento militare. Nel novembre del 1917 il paese fu invaso da 12 mila militari di tutti i corpi, c’erano anche inglesi e francesi.
La contrada della chiesa divenne il punto dove si insediò il comando generale, venne occupata la canonica, l’abitazione della famiglia Balbo, la villa vescovile e quella dei Girotto, verso il Lavo, con conseguente disagio per gli abitanti. Funzionò una scuola per ufficiali mitraglieri, in via Roma, dove ora c’è il parcheggio del condominio. Esiste ancora una piccola lapide, a ricordo, sul muro di accesso del condominio.

Il 15 luglio 1918 scoppiò la spagnola che colpì abitanti di tutte le contrade e i militari stessi, furono oltre mille le persone contagiate fra i civili; l’arciprete, don Cecchin, si prodigò a passare fra gli ammalati come medico improvvisato per dare assistenza e conforto ai malati.
Racconta, nella sua cronistoria, che c’erano le infermerie piene di soldati, camion sempre in moto per il trasporto ai vari ospedaletti, mancavano il ghiaccio e il chinino; il comando di presidio provvide di avere il ghiaccio, la carne, il chinino, il cognac e quanto occorreva.
Il 4 novembre 1918 , alla fine della guerra ci fu grande giubilo di cuori, suono di campane, musiche, bandiere e canzoni inneggianti alla vittoria, mai Brendola fu o potrà essere più bella e più viva.
Alla fine della guerra partirono tutti i soldati e gli abitanti tirarono un sospiro di sollievo.
In quel periodo venne costruita la nuova strada, detta militare, che da contrà Cerro porta a Perarolo.

Mercato

Alla domenica, fino agli anni 20, c’era il mercato nella piazza della chiesa, con vendita di frutta, mercerie, granaglie e altri generi; fu poi trasferito in località Revese, sulla piazza antistante l’omonima villa.

Acquedotto

Nel 1890 venne inaugurato il primo acquedotto di Brendola, che partendo dalla fontana naturale della contrà Lavo arrivava nel piazzale della chiesa dove stava una fontanella, proseguiva lungo via Roma con altre tre fontanelle, una si trovava nella piazzetta del vicariato.
Due anni dopo, nella ricorrenza dell’anniversario di costruzione dell’acquedotto venne musicato un baccanale per canto e banda dal comm. Felice Piovene con parole del dott. Albino Fenelli, medico condotto.

Girovaghi e Mendicanti

Negli anni ’40, spesso, durante la settimana, passavano dei mendicanti a chiedere la carità; ricordo un girovago, che passava una volta all’anno: arrivava a piedi con un orso trattenuto con una corda al collo, e portava a tracolla una piccola fisarmonica.
Passando per la contrà chiamava gli abitanti a vedere l’orso che ballava in piazza: radunate un po’ di persone si metteva al centro della piazza, iniziava a suonare e l’orso, rizzandosi in piedi, saltellava e girava su se stesso a tempo di musica. Finito lo spettacolo, il viandante passava dal pubblico con un cestello a ricevere l’elemosina.
Un altro prima di ricevere l’obolo recitava una cantilena che diceva: “O Gesù di amore acceso non ti avessi mai offeso o mio caro buon Gesù con la vostra santa grazia non vi voglio offendere più.” Poi chiedeva la carità.
Altre volte, qualcuno del paese passava con una gabbia con dentro un tasso, per mostrarne la cattura ai paesani; essendo questo animale un predatore notturno che faceva danno nei pollai, la gente lo ricompensava con una mancia o con alimenti.