EL STALOTO

Un edificio più stabile era il porcile o “staloto” preposto ad accogliere il maiale. Solitamente era contiguo alla stalla anche se era indipendente; aveva la porta di accesso e il truogolo o “albio”, dove si versava il pasto del maiale. Esso variava a seconda dell’età del maiale e da liquido, quando il maiale era piccolo, diveniva più solido e nutriente man mano che l’animale cresceva.
Il maiale accedeva con facilità dal porcile all’albio e da lì osservava anche lo svolgersi della vita della fattoria, controllava l’andirivieni dei contadini dai campi, seguiva i giochi dei bimbi e attendeva paziente l’arrivo della massaia che gli portava il cibo.
Il porcile aveva una zona rialzata, ottenuta con degli assi, e uno scolo che raccoglieva gli escrementi che venivano fatti defluire attraverso un foro di scolo in una vasca di raccolta e poi nel letamaio. La massaia si incaricava periodicamente di lavare il porcile e il maiale ne approfittava per fare qualche passeggiata per il cortile e quando ciò accadeva si sentiva per la contrada il grido di qualcuno che avvisava: “Xe scapà el mascio!”. Allora tutti venivano mobilitati per rintracciare la bestia, catturarla e riportarla nel suo alloggio. Era una corsa pazza che divertiva e preoccupava allo stesso tempo e solo quando l’animale era al sicuro, si indugiava a raccontare avventure rocambolesche sulla passeggiata del maiale che rasentavano l’assurdo e il comico.

L’ALBIO

In un angolo del cortile della casa del contadino c’era l’albio vero e proprio, affiancato al pozzo quando non c’era l’acqua o vicino al rubinetto quando ci fu la fornitura d’acqua dall’acquedotto comunale.
Era una vasca o di legno o in muratura destinata a raccogliere l’acqua che poteva poi servire per gli usi più svariati: dar da bere agli animali, conservare fresche le bevande o le angurie e il melone, innaffiare i fiori, lavarsi le mani e i piedi, lavare qualche oggetto. Era anche un punto di pericolo della fattoria, specialmente se c’erano dei bambini piccoli, per questo erano protetti con lamiere o reti per dissuadere i piccoli ad avvicinarsi.

I PUNARI

Annesse alla casa del contadino si trovavano molte costruzioni secondarie edificate in tempi successivi, magari dal contadino stesso, su richiesta delle donne per accogliere e proteggere gli animali che venivano allevati nella corte.
Erano costruzioni un po’ fatiscenti, rabberciate alla meglio, utilizzando un angolo di edifici maggiori e recintate con reti metalliche o avanzi di lamiere.
Erano i “punari”, luoghi adibiti ad accogliere le galline.
Nelle fattorie più importanti erano distinti in due zone: una coperta dove si raccoglievano le galline durante la notte e nelle giornate di pioggia e le chiocce che covavano, e una esterna dove le galline razzolavano durante il giorno, nelle vicinanze c’erano dei cespugli o delle piante ad alto fusto che garantivano l’ombra nelle assolate giornate estive.
All’interno del punaro si trovava la cesta destinata al nido, che conteneva un uovo vecchio, che serviva da richiamo per le galline che dovevano deporre. C’era poi un tegame, solitamente di alluminio o di smalto, dismesso dalla cucina perché forato o ammaccato, che serviva da contenitore per le granaglie e un altro simile per contenere l’acqua.
Il punaro era un luogo completamente privo di erbacce dato che le galline si trastullavano a razzolare e così facendo le sradicavano. Le galline erano tanto amate dalle donne, quanto odiate dagli uomini, le prime infatti riponevano in loro la certezza di garantire la sopravvivenza attraverso le uova e la carne; i secondi invece le consideravano delle intruse nel cortile, delle invadenti quando si cibavano dell’uva matura o quando, razzolando, sradicavano piantine tenere o, entrando nell’orto, distruggevano gli ortaggi.
Il re del punaro comunque era sempre e solo lui: il gallo; e lo si capiva subito quando, da lontano, lo si vedeva dominare col suo aspetto possente una schiera di galline ubbidienti e ossequienti al volere del capo.